I mostri dell’incompiuto

Le fotografie dell’artista americano Anthony Hernandez, in mostra alla 58esima Biennale d’arte di Venezia, presentano edifici mai terminati, ma già in rovina. Nei suoi scatti vediamo luoghi incompiuti, spazi progettati e sognati per ospitare le persone… vediamo il movimento e la vita, mai arrivati al traguardo. Per dirla con le parole della presentazione ufficiale della Biennale: «A tormentare questi edifici non è il tocco corrosivo del tempo, ma lo spettro dei mercati precari e una pianificazione urbana disfunzionale».

A ognuno di noi è capitato di passare davanti a qualche ‘ecomostro’. Costruzioni incompiute, lasciate al loro destino, che poco alla volta cominciano a ospitare tutto ciò che non vorremmo vedere nel nostro spazio urbano: erbaccia, topi, scarafaggi, vagabondi, ecc. Nessuno vuole un palazzo cadavere di fianco alla propria abitazione; per cui, quando nasce un nuovo cantiere, al di là dei disagi evidenti che comportano i lavori di costruzione, il desiderio che venga chiuso presto e che, soprattutto, si concludano i lavori, è assai comune e del tutto comprensibile.

Queste costruzioni dell’incompiuto si trasformano con l’andare del tempo. Più il tempo passa, più degenerano e si deteriorano, fino a divenire irreparabili. Altro non si può fare che abbatterle, in favore di un progetto diverso. Ma non sempre accade. Capita, purtroppo, che rimangano opere incomplete e diventino dei monumenti fissi dello scenario urbanistico, anche per decenni. Simboli visivi che ci ricordano un fallimento accaduto.

Se ciò destabilizza e abbruttisce il panorama delle nostre città, analogamente accade nelle organizzazioni. L’incompiuto coincide con qualcosa di lasciato a metà, che non viene portato a termine, anche dopo significativi sforzi, e può riguardare il mancato completamento di un progetto, l’impossibilità di concretizzare un’idea o di dare compimento a un percorso. Significa abbandonare senza un adeguato passaggio di chiusura.

L’incompiuto non è lo scarto che, invece, fa parte di una qualsiasi pratica creativa e che risponde a bisogni organizzativi totalmente diversi. Quando vogliamo generare qualcosa di nuovo e ci servono soluzioni alternative, rispetto a quelle applicate in precedenza, ci si rivolge alla creatività come fonte generatrice per reinventare e innovare soluzioni e prodotti. Questo processo, pieno di stimoli e idee, produce inevitabilmente un risultato composto sia da vere e proprie perle sia da materiale che, almeno in quel momento, risulta inutile e dobbiamo quindi smaltire.

Quando, invece, si tratta di progetti aziendali, che per un periodo vengono sospinti e sostenuti con energia per poi essere progressivamente abbandonati, l’impatto è totalmente diverso. A volte, durante la realizzazione stessa del progetto, si matura la convinzione che l’idea iniziale non avesse molto senso e che non funzionerà, oppure che manca la volontà o il commitment necessario per portarlo a compimento. Altre volte, invece, cambia semplicemente il management e arrivano nuovi vertici organizzativi, che vogliono sviluppare idee del tutto diverse. In alcuni casi è il mercato stesso o, addirittura, la normativa e gli enti regolatori, che rendono obsoleto lo sforzo in atto, perché la domanda nel frattempo è cambiata.

In questi momenti, alle persone viene chiesto di abbandonare ciò che, con impegno e fatica, stavano costruendo. Questo passaggio, se non gestito con consapevolezza, può creare dei veri ‘mostri dell’incompiuto’, che nel contesto organizzativo prendono la forma di paesaggi emotivi destabilizzanti, dove si alimentano frustrazione, delusione, rancore e tristezza. Come Business Coach mi è capitato di lavorare con alcuni team che hanno, improvvisamente, dovuto cambiare rotta: è emerso che ciò che proviamo può creare delle vere e proprie barriere a un lavoro sereno e produttivo.

Come superare un momento di questo tipo? Il primo passo è riconoscere che le emozioni ci sono e che, di conseguenza, ci condizionano. In un percorso di condivisione, il semplice atto di ammettere che siamo delusi da un progetto non portato a termine, ci aiuta a sentirci meno soli con il nostro sentito. Anche nel lavoro, se creiamo le condizioni adatte per esprimere i nostri sentimenti, a volte, questi si comportano come la neve. Portati all’aperto, sotto la luce del sole, si sciolgono.

Copertina – Opera di Anthony Hernandez, 58esima Biennale di Venezia

[Articolo presente in “Persone&Conoscenze”, Rivista ESTE, n.141]

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