Chi è il maestro chi è l’allievo?

Quando è mancata mia nonna non ero dispiaciuta e triste soltanto per aver perso una persona a me molto cara, ma avevo anche la sensazione che con lei, ultima dei miei quattro nonni, spariva un mondo intero di conoscenza, storie, racconti di un’epoca a cui non avrei più avuto accesso. Certo, posso leggere dei libri o cercare informazioni in Rete sul passato, ma quella conoscenza di vita vissuta, di esperienze sentite, di emozioni reali è andata perduta.

In un certo senso, questo accade anche in azienda quando le persone senior vanno in pensione, oppure qualcuno di valore esce, portando con sé il proprio patrimonio di conoscenza. Gli individui in età pensionabile, spesso, hanno un sapere che si esprime in una solidità emotiva nata con l’andare del tempo, una maturità di saper stare nelle situazioni, di comprendere la vita più a 360 gradi rispetto a chi ancora è alle prime armi. Ma in questo mondo cosi affamato di nuovo, di innovazione, di nuovi talenti digitali, le aziende sanno valorizzare questo patrimonio esperienziale prima che esca? E coloro che sono nell’ultima fase del proprio percorso aziendale sanno mettersi a disposizione degli altri per la sciare un patrimonio?

Nella knowledge society la sfida dell’azienda è quella di far circolare la conoscenza. Si tratta di creare i presupposti per far sì che le persone riescano a mettersi in contatto l’una con l’altra per condividere le esperienze, per imparare insieme, non certo per ripetere le stesse azioni del passato (perché oggi le sfide sono certamente diverse), ma per aiutare tutti a crescere in modo consapevole ed equilibrato. Il presupposto emotivo di questa attività è il senso di appartenenza, ma anche la curiosità intellettuale di esserci, l’entusiasmo di voler ancora imparare e stare nella creazione del nuovo insieme con gli altri, invece di sognare il “cosa farò dopo, quando il mio percorso qui dentro sarà terminato”. In termini pratici, tutto ciò si traduce nella voglia di dare un contributo, di condividere attivamente il proprio sapere per il bene dell’organizzazione e delle sue persone.

Una difficoltà sta nel fatto che per aiutare la conoscenza a emergere e a circolare, il primo comportamento agito è l’ascolto. È grazie all’ascolto che si dà vita a uno scambio, a una crescita, a un processo di co-creazione di nuova conoscenza e nei migliori casi di aumentata consapevolezza. Ascoltare è anche un atto di umiltà: attraverso l’ascolto si valorizza l’altro e ciò che ha da dire.

Nel 2003, il regista danese Lars Von Trier ha girato un insolito film, Le cinque variazioni. Un film-compilation dove Von Trier ‘disciplina’ lo storico cineasta e suo mentore di un tempo Jorgen Leth. Uno dei più celebri cortometraggi di Leth, L’uomo perfetto (1967), viene rigirato dallo stesso regista più volte sotto le rigidissime regole di Von Trier, che ora diventa suo mentore per spingerlo ad abbattere i limiti della propria poetica. Von Trier, una volta allievo e ora leader dell’operazione, spinge Leth a uscire dalla zona comoda, trasformando quello che sembrava un semplice gioco in una sfida. Alla fine la ‘quinta variazione’ altro non è che il film stesso che Von Trier sta girando: l’insieme di tutti gli esperimenti svolti da Leth seguendo le sue imposizioni, l’intero processo di evoluzione artistica.

In questo dialogo creativo tra due artisti-registi i ruoli di allievo e mentor sembrano essere cambiati. In azienda si utilizzerebbe il termine “Reverse mentoring”. Mi piace invece pensare che, grazie al contributo attivo di Leth nell’‘obbedire’ alle indicazioni di Von Trier, in realtà il maestro aiuti l’allievo a fare l’ennesimo passo avanti nel suo percorso. Un bravo mentor si mette a disposizione dell’altro per aiutare la sua crescita. Questo approccio richiede grande maturità umana e senz’altro una gestione del proprio ego molto sviluppata. Ma chi è maestro e chi è allievo, forse alla fine non importa. La parola che conta davvero è “dialogo” poiché, se svolto in maniera costruttiva, permette una riflessione e un apprendimento condiviso. Domandiamoci, quindi, come possiamo agevolare il dialogo nel nostro contesto per canalizzare meglio la conoscenza a beneficio di tutti.

[Articolo presente in “Persone&Conoscenze”, Rivista ESTE, n.137]

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